Alimentazione Complementare da SaPeRiDoc
Segnaliamo lo “speciale” sull’Alimentazione Complementare sul sito di SaPeRiDoc, Centro di Documentazione sulla Salute Perinatale e Riproduttiva del Servizio Sanitario Regionale dell’Emilia Romagna.
Alimentazione complementare
L’alimentazione complementare, erroneamente nota anche come svezzamento, indica l’introduzione di altri alimenti in aggiunta al latte (materno o artificiale) nella dieta del bambino. Per alcune famiglie rappresenta un momento impegnativo, per tutte dovrebbe essere una fase di crescita, l’occasione per porre le basi o rafforzare una relazione sana fra il lattante e il cibo, oltre che un ottimo stimolo per rivedere le abitudini alimentari di tutta la famiglia.
Per i professionisti
Di cosa parliamo quando ci riferiamo, erroneamente, allo svezzamento? Quali determinanti influenzano le scelte che compiamo e i consigli che forniamo alla famiglia quando affrontiamo il tema dell’alimentazione complementare?
Introdurre i cibi complementari a 6 mesi, prima o dopo? I vantaggi e le prove di efficacia associati alle diverse scelte che ancora oggi, in maniera poco uniforme, vengono proposte ai genitori di lattanti.
Per anni si è ritenuto che ritardare l’introduzione di specifici cibi riducesse il rischio di sviluppare allergie. Si è visto che non è vero. Poi si è pensato che anticipare l’introduzione di questi cibi fra i 4 e i 6 mesi potesse ridurre il rischio allergico. Anche questo, però, si è rivelato falso.
I trial controllati randomizzati che smentiscono una associazione fra introduzione anticipata fra 4 e 6 mesi dei cibi allergizzanti e ridotto rischio di allergie.
Alimentazione complementare e scarsa crescita
La decisione di anticipare l’introduzione di cibi in affiancamento al latte (materno o artificiale) è spesso legata a un presunto riscontro di scarsa crescita ponderale del lattante. Prima di ogni decisione è bene controllare l’accrescimento utilizzando le curve dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le uniche costruite su una popolazione di bambini sani, alimentati con latte materno.
Ogni famiglia ha la sua modalità per proporre ai bambini i cibi: un modello responsivo, che riconosca e rispetti i segnali inviati dal bambino, sembra aiuti, fra le altre cose, anche lo sviluppo di un rapporto sano con il cibo, associandosi quindi a minori problemi futuri del comportamento alimentare nel bambino.
Le persone che scelgono una dieta vegetariana o vegana per sé e per i propri figli sono una quota non trascurabile della popolazione. Gli studi non rilevano danni sulla salute del lattante e bambino quando queste diete vengano seguite in maniera equilibrata. Gli aspetti da considerare in via prioritaria per un buon counselling sono discussi.
Per tutti
Le risposte alle più comuni domande dei genitori sull’alimentazione complementare.
23:17
Sono giorni che voglio commentare, ma non ho mai trovato il tempo necessario (ovvero la forza di farlo 😉 ).
Personalmente trovo questi documenti, per quanto in parte interessanti, scaturiscono tutti dal solito peccato originale: anche se riconoscono che il termine “svezzamento” sia sbagliato, di fondo il modo di pensare che propongono non è cambiato più di tanto. Prendiamo questa frase presa dal documento intitolato “Cos’è l’alimentazione complementare”, che è il primo della lista:
alimentazione complementare … comincia quando il latte materno – o artificiale – non è più sufficiente da solo a soddisfare le esigenze nutritive del lattante ed è quindi necessario affiancare a questo altri alimenti.
questo è quanto ci viene detto da decenni – e mi sembra di riconoscere la frase, ma non ricordo da dove sia stata presa – e chi ha scritto quel documento chiaramente pensa ancora che sia vero. Tutto ruota intorno a quel “necessario”. Siccome il latte materno non è più sufficiente, allora è NECESSARIO introdurre altri alimenti, ovvero c’è una scadenza e se tu (genitore) non fai come ti viene detto essere NECESSARIO, sono guai.
Possibile che ancora oggi sia così difficile ribaltare la frase e dire che “l’alimentazione complementare inizia quando il bambino è interessato e capace a gestire il cibo, e guarda caso, il tutto coincide proprio con quando il latte non è più sufficiente a soddisfare tutte le necessità del bambino.”?
Non è che il genitore si deve ricordare di introdurre il cibo. Il bimbo lo sa già.
Il testo prosegue:
Il suo avvio, normalmente, coincide con un interesse verso il cibo da parte del lattante;
NORMALMENTE??? Che vuol dire che il processo inizia NORMALMENTE quando il bambino è interessato. Ah, allora è proprio una cambiale in scadenza e il bambino volente o nolente… ha da abbozzà!
Tra l’altro, non dimentichiamo che il processo è molto graduale, per cui è NORMALE che all’inizio il bambino prenda quasi zero cibo e quasi tutto latte e che a 12 mesi (e non come dice da 6 a 12 mesi) il rapporto calorico sia circa 50-50.
Su “Quando proporre altri cibi oltre al latte” leggo che:
È quindi necessario che il lattante verso i 6 mesi assuma altri alimenti, in particolare ricchi di ferro, in aggiunta al latte.
Aridaje con questo NECESSARIO. Ma poi, di quali alimenti parla? Immagino di quelli fortificati, altrimenti non c’è assolutamente verso che il bambino possa assumere le quantità di ferro prescritte dalle tabelle (e vi assicuro che ci ho provato a mettere insieme un paio di pasti che lo facessero). Il problema della (presunta) carenza di ferro è vasto e a mio avviso poco compreso in letteratura, ma l’autore dell’articolo glissa accontentandosi di dire che il bambino ha bisogno di ferro. Tra l’altro citano solo alcune fonti, ma non ad esempio il documento OMS che dice che il bambino italiano è comunque a scarso rischio di anemia.
Comunque il problema è sempre quello… è NECESSARIO introdurre i solidi a 6 mesi (ovvero la cambiale è scaduta). Ma se il bambino non è pronto, non è interessato o vuole altro che facciamo?
Per quanto riguarda il discorso di inizio svezzamento e allergie, la lista fornita è interessante, ma vengono ignorati altri studi che invece dicono che l’introduzione di alcuni cibi (l’ultimo è lo studio sulle noccioline http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1414850) effettivamente aiuti. Lungi da me dire che sia sufficiente per dire che lo svezzamento vada iniziato prima. Invece a mio avviso questi lavori aiutano ad adottare un prospettiva molto più semplice e POSITIVA… Il bambino vuole iniziare mangiare prima dei canonici 6 mesi (e, sì, esistono), oppure capita che per un motivo e per un altro si trovi a ciucciare un gamberetto? Non ci sono problemi. Tanto anche la ricerca ci dice che un introduzione (non troppo) precoce di alimenti a rischio non crea problemi. Tutto qui…
Poi c’è il pezzo sul latte vaccino, che va sostituito al formulato dopo i 12 mesi. Prima dicono:
Se invece beve latte artificiale, continuate con quello fino al compimento dell’anno di vita, e quindi passate al latte di mucca intero (o altri latti animali).
e poi puntualizzano che:
La quantità di latte di mucca o di altro animale che un bambino assume dopo l’anno di vita non dovrebbe superare i 300 millilitri al giorno. Il latte è infatti ricco di proteine, e berne troppo può causare obesità. La quantità di latte giornaliera va ridotta in caso di assunzione di formaggi, yogurt o altri derivati del latte. Per evitare un eccessivo carico proteico non è quindi raccomandato utilizzare il latte come rito, prima dell’addormentamento, o come bevanda nei pasti principali.
Ora, capisco che abbiano fatto copia/incolla da diverse fonti, ma ci vuole un minimo di coerenza o quanto meno chiarire meglio cosa sia meglio fare. Tra l’altro la questione delle quantità di proteine che sono potenzialmente dannose è complesso, ma viene ignorato. (e comunque c’è chi dice che la dose sia di 500 ml)
Poi ci sono i luoghi comuni, tipo questo:
Abituare il bebè fin da piccolo ai sapori originali del cibo eviterà che sviluppi un desiderio eccessivo di dolce o salato in seguito.
Considerando che la mia generazione è venuta su a omogeneizzati, non mi pare che la cosa abbia aiutato più di tanto. Per carità, nessuno dice di mettere sale a tonnellate, ma una frase di questo genere, che fa leva sul senso di colpa del genitore, va giustificata. Ad esempio, a naso direi che il problema non sia rappresentato dal sale o lo zucchero normali che si usano in famiglia, ma dall’usare lo zucchero per far sì che il bambino MI mangi di più di quanto non vorrebbe, ovvero usarlo come strumento per ottenere un fine ben preciso (e ahimè perverso). Quello sì che è molto probabilmente dannoso, anche in piccole dosi, ma questo discorso è ben diverso dal perpetuare il mito del “cibo dal sapore naturale”.
Insomma, questi documenti hanno potenziale, ma necessitano di un profondo lavoro di revisione per eliminare le inconsistenze, migliorarne il linguaggio e fornire un messaggio positivo e INFORMATIVO, non prescrittivo.
Come prima bozza va bene, ma c’è ancora lavoro da fare.
10:52
Appunto, neanche a farlo apposta ieri è uscito questo:
https://www.niaid.nih.gov/sites/default/files/peanut-allergy-prevention-guidelines-parent-summary.pdf
che a quanto ho capito su basa proprio sull’articolo che ho linkato sopra.